lunedì 27 novembre 2006

E grazie all'ispirazione

L'Anonimo si aggira per i corridoi con passo sicuro...legge una targhetta ma sa già dove si trova l'ufficio che gli interessa...per educazione rivolge un saluto alla segretaria che, prontamente, cerca di trattenerlo dicendo che in questo momento non può essere ricevuto.

L'Anonimo (stizzito): Io non faccio anticamera!

Entra deciso e si chiude svelto la porta alle spalle. Il nome sulla porta è inequivocabile: Magnifico Rettore Prof. V. L.

L'Anonimo (bonario): Carissimo V. come andiamo (pacca sulla spalla)...

Magnifico Rettore Prof. V. L.(incredulo): Ohhh carissimo L'Anonimo....come stai? Ma è una vita...da quella vol-

L'Anonimo(calmo): Si certo V. ....come potrei mai dimenticarmi quella volta...ce la siamo davvero vista brutta....

M.R.P.V.L. (rabbuiato): Già....sapessi quanto manca anche a me il povero Carletto.....

L'Anonimo (disteso): Su dai V....non chiuderti nel passato...devi fartene una ragione è passato tanto di quel tempo...e poi lui ora è veramente felice

M.R.P.V.L. (sconsolato): Sob

L'Anonimo(dolce): Ma che cos'è questo faccino triste? Dai fammi un bel sorriso..

Il Magnifico Rettore fa un sorriso con gli occhi lucidi

M.R.P.V.L. (ridestato): Cosa ti porta qui vecchio caro amico? Siediti pure (indicando una sedia)...vuoi un caffè?

L'Anonimo (serio): Si grazie...

M.R.P.V.L (pigiando sull'interfono): Signorina ci porti due caffè...tu L'Anonimo sempre amaro (L'Anonimo annuisce)...si due caffè amari...

M.R.P.V.L (di nuovo verso L'Anonimo): I caffè arrivano subito, cosa posso fare per te?

L'Anonimo (scuro in viso): V....devo essere franco...sono davvero deluso di te

M.R.P.V.L. (stupito): Come è possibile?! Cosa è che ho fatto di sbagliato?

L'Anonimo (fermo): Io capisco che tu abbia un sacco di responsabilità..il rettorato..le lezioni...la presidenza...ma io una cosa semplice ti avevo chiesto..una cosa tanto semplice...

M.R.P.V.L (ancora più incredulo): Ma...ma...non capisco...non ho ricevuto nessuna tua comunicazione...non so...forse la segretaria avrà perso la tua lettera...

L'Anonimo(severo): V. non dare la colpa agli altri! Questo vizio di non assumerti le tue responsabilità ce l'hai sempre avuto...

M.R.P.V.L (mortificato): Scusa (china il capo)

L'Anonimo (si alza in piedi): Io pensavo che noi due fossimo amici...amici veri...amici che si aiutano fin dove possono..amici che la Storia ha messo insieme per compiere qualcosa di grande...amici che vivranno sempre nel ricordo del buon Carletto...e tu...tu..V...puoi ancora dire di essere mio amico??

M.R.P.V.L (guarda verso il basso): .....

L'Anonimo (intimidatorio): Io credevo di sì...vengo al dunque...come ti avevo già scritto nella mia lettera che tu dici di avere perso...(ammicca)..qui da te studia una ragazza a cui io tengo molto e che vorrei non si affaticasse troppo la mattina...

M.R.P.V.L (attonito) : Ma....

L'Anonimo (perentorio): Non interrompermi! Io non l'ho fatto!

M.R.P.V.L (mortificato): Scusa (china di nuovo il capo)

L'Anonimo (soddisfatto): Bene...questa ragazza ti dicevo...la sera è spesso impegnata con me....non essere malizioso V. o ti strappo uno orecchio....quindi...come già ti avevo chiesto.....dovresti spostarmi le lezioni del mattino ad un orario a Lei più consono.

M.R.P.V.L (confuso): Ma....ma...non so se è possibile..io....

L'Anonimo (urlando): Io! Io! Io! Sempre e solo a te stesso pensi, V.! Lo sai cosa sei eh dì un po, lo sai cosa sei diventato? Un'egosita!!! Ecco cosa sei...pensi solo a te...alla tua carriera..alla tua reputazione....

M.R.P.V.L
(distrutto): Hai ragione..(con un filo di voce) scusa di nuovo...

L'Anonimo (guardando verso l'alto): Se solo ci fosse ancora il buon Carletto...di certo non ti comporteresti così...ah quanto dolore che gli stai procurando...il caro vecchio Carletto...quanto ti voleva bene....

M.R.P.V.L (piangendo): Basta ti prego!!!....Sono diventato un mostro hai ragione!!!! Farò tutto quello che vuoi buahahah!!!

L'Anonimo (tronfio): Bene bene V....vedo che cominci a capire...allora ci posso contare per questa cosa?

M.R.P.V.L (devastato dai singhiozzi): Shi...shi...(tira su col naso)...non ti preoccupare...sich...penso a tutto io...non ti preoccupare...

L'Anonimo (preoccupato): E se i docenti ti fanno storie?

M.R.P.V.L (migliorando d'umore): Non ti preoccupare non ti preoccupare..con loro me la vedo io....

L'Anonimo (orgoglioso): E bravo il mio V.ino! (stropicciandogli le guance) Bravo lui! Che fa il cattivone coi professori e invece hai il cuore tenero tu! Bravo! (schiaffetto) Bravo! (schiaffetto) Bravo! (schiaffetto).

M.R.P.V.L (abbozzando un sorriso): Eh...se solo ci fosse ancora Carletto....

L'Anonimo (sorridendo): Ho una sorpresa per te V.ino...guarda un po chi ti è venuto a trovare???

L'Anonimo sfila dalla tasca un calzino arrotolato e se lo infila sulla mano, chiude le dita a becco e comincia a fare una vocina stridula.

- Ciao V. Ciao V. Sono il tuo amico Carletto...mi sei mancato V. mi sei mancato V.

M.R.P.V.L (sprizzante gioia): CARLETTO!!!!!! MA ALLORA NON SEI MORTO!!!! CARLETTO CARLETTO CARLETTO!!!!

Il Magnifico Rettore saltella sulla poltrona battendo le mani per l'enorme contentezza e continuando a chiamare il nome dell'amico.
L'Anonimocon gesto rapido sfila il calzino dalla sua mano e lo infila su quella del Rettore, senza peraltro che a quest'ultimo sia sembrato strano. Il Rettore continua imperterrito a parlare col calzino simulando le risposte. L'Anonimo silenziosamente scivola fino alla porta e in un istante si dilegua.


La segretaria lo raggiunge in corridoio col suo caffè.

L'Anonimo
(presuntuoso): Se lo beva lei. A me amaro fa schifo!

giovedì 23 novembre 2006

Educazione alla malinconia II


Solo adesso mi è chiaro il cammino che porta a me, che è un cammino senza sentieri, senza strade battute, dove il passo indica la via e l’andatura è il polso del proprio crescere, del proprio marciare. In continuo divenire, in continuo avanzare: il presente come rinnovata occasione, il presente come perenne futuro. Educazione alla malinconia: lasciare tutto. Non c’è menzogna che vale la pena di essere architettata; non c’è ira che vale lo sforzo dei muscoli del proprio viso; non c’è rancore a cui verrà concesso di avvelenare questo sangue; non c’è ricordo così doloroso da essere insostenibile. Sarà il contrario di tutto questo: voglio solo un compagni di luce, voglio abbandonare il timido rifugio, la facile fuga. Ci sarà ancora la memoria, tonnellate di memoria, pareti infinite di archivi, tenuto tutto a mente, in fascicoli in dossier in contro-dossier, spiarsi e contro-spiarsi, pedinarsi nel passato, fotografarsi per ricordarsi dove si era e chi si era, in ogni momento. Qualcosa di segreto, intoccabile, privato, fissato. Rimozione vietata. Ci sarà soprattutto il perdono e l’abbraccio. Ci sarà il sorriso perché è l’unico anestetico per la rabbia, perché è l’unica alternativa che conosco al morso. Disciplina del volto: non più grungno d’animale che ruggisce. Un sorriso, allenamento alla civiltà. E poi, come sempre. Avrò con me il silenzio, perché il silenzio è la verità. Il silenzio è la terra promessa che c’è in ognuno di noi. Il silenzio. La pace. Nient’altro.

martedì 21 novembre 2006

Educazione alla malinconia


Educazione alla malinconia: bisogna innanzitutto imparare a conoscersi, imparare a capirsi e capire le proprie reazioni e l’incidenza che hanno queste sulla propria situazione, esaminandole in un rapporto di causa-effetto e non come casuale concatenazione di eventi, bisogna interrogarsi sulle proprie azioni e imparare da se stessi. Interrogarsi, interrogarsi e ancora interrogarsi e, logicamente, non ricavarne nulla. Sarebbe presuntuoso pensare di tirar fuori qualcosa: si cambia per un meccanismo implicito e non per decisione. Non esiste l’interruttore della propria coscienza: esiste soltanto la possibilità di fare programmi e progetti,ed eventualmente di rispettarli. Tutto il resto rientra nel campo della disciplina. Io ad esempio. Cerco di capirmi da anni, osservo quello che faccio e posso dire di non essere mai stato ubbidiente alle mie regole. Mi sembra, a volte, di non partecipare alla mia stessa vita, come se la mia persona e il mio nome fossero due cose diverse. Forse devo solo trovare un nome che mi piace. Non credo, comunque. L’immagine che meglio rappresenta questa condizione, IMHO, è una barca che va alla deriva col proprio capitano mentre il capitano crede di essere il pappagallo sulla sua spalla. Io non prendo decisioni: faccio un sacco di progetti (abusivi), costruisco castelli in aria (e quando crollano mi accorgo di quanto fossero pesanti), mi faccio un cofano di illusioni (a metà prezzo) per finire con il non fare non proprio nulla. A quel punto mi do la colpa della mia insicurezza e della incapacità, ma è come se l’avessi sempre data ad un’altra persona ignorando volutamente le conseguenze. Dire che si è matti va terribilmente di moda (no è che sono un po’ pazzo io…non fidarti di me,baby, sono proprio matto certe volte…uao ke kosa pazza ke ho fatto, sono davvero matta!), io sono sicuro di non esserlo: ho avuto soltanto paura. Avere paura è terribilmente umano. Ergo, fate voi. Ho avuto paura di non essere all’altezza e paura di perdere quelle quattro cose che pensavo fossero importanti. Ora, però, posso finalmente dire di aver perso tutto il bagaglio superfluo lungo la strada. Ora non ho compagni di viaggio che non si possano tenere in tasca. Non sarò mai solo finché avrò una matita un foglio ed un libro. La cosa che non avevo davvero mai capito è che si salva sempre prima se stessi e poi si pensa a salvare gli altri: i topi affondano sempre con la nave, i pappagalli volano via.

domenica 19 novembre 2006

Composizione E (o composizione dell'uomo castagna)

MioCognato: Carino ma cosa sono quelle specie di E là sopra?
Io: Sono delle E, cos'altro dovrebbero essere?
MioCognato: Tu lo sai che non sei normale?
Io: E!

Tante belle cose a tutti.

venerdì 17 novembre 2006

Composizione così

Eh quando blogspot collabora.....

mercoledì 15 novembre 2006

Composizione boh

Prima o poi farò un altro post o posterò per sempre disegni? A chi lo sto chiedendo? Saluti.

lunedì 13 novembre 2006

Quando faresti tutto ma proprio tutto tranne che far vedere che lavori....

Confidenzialmente chiamato "Generatore d'incubi" (dimenticavo le virgolette)

venerdì 10 novembre 2006

Allegria?No,grazie.

Questo è un post allegro. Parla di morte. (La mia missione è ancora quella di rendere questo posto l'incontrastato blog dell'infelicità, mica pizza e fichi) (Che poi sta cosa della pizza coi fichi chissà se è solo italiana o se tipo ogni nazione ha la sua alternativa tipo baguette e roquefort in francia e tapas e toro in spagna) (L'Anonimo blog non è solo il blog dell'infelicità, amici, benvenuti anche nel luogo dove è comune il luogo comune (generando il circolo vizioso del luogo comune, ovvero il luogo comune del luogo comune, e via ad libitum) Dicevo (se la smettesi di auto interrompermi) che volevo parlare di morte. Non tanto della morte in sè o della morte che ci aspetta. Che io poi fino a qualche anno fa sognavo di morire vecchissimo, più vecchio della cosa più vecchia, (tipo che veniva la televisione ad intervistarmi e io dicevo all'intervistatore che avevo visto quelli veri di giornalisti mica come lui, io avevo visto gente seria tipo Fede o Giurato, cioè mica pizza e fichi, però mi sa che fra tutti quegli anni i fichi non esisteranno mica più e l'intervistatore farà fatica a comprendere la sottile metafora). Adesso credo che morirò di noia entro i prossimi due anni (passando tutto questo tempo non facendo nulla e continuando a ripetere: ma qui non succede mai nulla!). Allora mi sono messo ad ingannare l'attesa pensando al mio epitaffio, perchè che ne sai magari da qui a qualche anno ti inventano il lapide-blog che uno si connette da casa e vede la salma e può commentare in qualche modo (diamine ma è un'ottima idea) e a quel punto è essenziale avere una frase accattivante, qualcosa che possa incuriosire il necro-lurker (ehi ehi ehi L'Anonimo blog, il blog dell'infelicità, del luogo comune del luogo comune e, udite udite, anche dei neologismi). Ho pensato ad una frase che ben mi potesse rappresentare, ma l'unica frase che potrebbe racchiudere la mia immortale pigrizia non esiste: dovrei solamente lasciare la lapide totalemente vuota e attaccarci un post-it con scritto: "Sai quello che devi fare", oppure "Se mi conosci non hai bisogno di altre informazioni". Però, forse, potrebbe essere una iscrizione tombale leggermente impopolare (la gggente non è ancora pronta, la gente vuole ridere). Anche se quella davvero impopolare sarebbe: "Mi ricordo del male che mi hai fatto, ti ho tenuto un posto libero", oppure forse citare un certo Callimaco, il greco : "Non salutarmi, crudele: tira di lungo, muto. Se non t'accosti è per me pari ad un saluto" sarebbe la migliore delle soluzioni. Ma qui siamo davvero sull'antipatico e nessuno vuole essere ricordato come un antipatico (non certo io). Ci sarebbe la soluzione infantile: "Uffa,io qui non ci volevo venire". Quella altruista: "Accetto suggerimenti". O quella ottimista: "Pensavo peggio, solo il panorama mi ha un po deluso". Oppure ancora quella interrogativa: "E adesso?".
Ma come la tradizione insegna il modo migliore per passare alla storia è quello di plagiare, credo quindi che la frase migliore da lasciare ai posteri sia il nome di un gruppo (che ondarock mi dice faccia musica..) emo.

I LOVE YOU BUT I'VE CHOSEN DARKNESS.

(Volevo andare a leggere al parco, giuro, solo che poi sai come va no? la logorrea....e la logorrea....e la logorrea....e la liquirizia?!?)

martedì 7 novembre 2006


domenica 5 novembre 2006

12 ore per la vita - parte seconda (da oggi con il 30% di metafore in più)

7° ora – 14.00

Io volevo andare via. Io qui non ci volevo venire. Me lo continuo a ripetere come facevo da bambino quando mi ero stancato di un posto. Ho messo il broncio, mi comporto in maniera infantile: comincio a stropicciarmi gli occhi. Mi è passata totalmente la voglia di lavorare: se il telefono squilla comincio a rispondere solo si oppure no, esordendo con “Pronto” o con “Chi è?” – chiedendo mi lascino stare durante il riposino pomeridiano. In un culmine parossistico chiedo di richiamarmi tra un’ora che adesso non ci sono. Ripenso a tutti i letti che ho avuto, dedico sonetti d’amore al piumone. Mi disegno a fumetti mentre dico una sola lettera : Z.

8° ora – 15.00

L’anima pia della marketing manager mi porta un caffè: io avrei bisogno di una pianta di cocaina da infilarmi su per il naso con ancora aggrappato un cocalero colombiano. Parlo solo quando strettamente necessario, privilegiando espressioni onomatopeiche (burp, prot, sob) e rumori corporali (burp, prot, sob ). Arrivato all’ottava ora non distinguo più lo spazio che ho intorno: comincio a considerarlo come un’estensione della mia coscienza, qualcosa di fin troppo familiare, una sorta di utero surrogato, qualcosa di ancestrale. Sempre all’ottava ora, prendo un catalogo ikea dalla cassetta della posta e comincio a progettare il nuovo arredamento di questa che ormai è a ragione considero casa mia…la scrivania toglie tutto lo spazio…magari ci metto un bel TYLÖSAND.

9° ora – 16.00

Abbandono qualsiasi proposito di arredamento, anzi abbandono qualsiasi proposito di miglioria dell’ambiente lavorativo. Comincio a pensare ardentemente alla rivoluzione proletaria. Cerco senza successo di scovare un buon compagno Folagra all’interno dell’azienda (la pecora “rossa” Folagra) per fondare un collettivo di resistenza autonomo all’interno della stessa e rivendicare e concertare benefici contrattuali, orari di lavoro umani o al limite dei buoni pasto. Sono pronto a ciclostilare il mio anzi il nostro manifesto politico ma mi accorgo di essere solo, senza la partecipazione delle masse. L’utopia viene oscurata del fumo dei gas di scarico dei Suv dei dirigenti che vanno via. Consapevole del mio fallimento politico, chiedo declassamento da Scimmia receptionist a Pianta ornamentale.

10° ora - 17.00

Mi ricordo che ero una persona educata, pulita e profumata solo poche ore prima. Ero. Quell’individuo non esiste più, fagocitato da una essenza ferina che albergava in me da tempo sconosciuto. Stravacco nella sedia, mi slaccio le scarpe, sono sudato e scapigliato. Sono l’ombra malvagia di quello che ero, sono qualcosa che non riconosco più. Il telefono per rispetto non squilla più, se lo fa, con deferenza, prima chiede permesso. Rutto al passaggio di un collega che fa finta di non capire. Mi saluta. È un tragico errore.Gli rispondo Mavaiafareinculoacasaluridosaccodimerdaciucciacazzidelpresidente, inculotueilpelatodimmmerdachenonseialtro..
A lui è sembrato un semplice “ciao”. Scivolo in una dimensione surreale.

11° ora – 18.00

Inizio un viaggio extra-corporale. Le dimensioni così come le conosco non esistono più: tutto si stira all’infinito, tutto si tende all’orizzonte. Fasci di luce prima e quadrati di bianco poi. Le prospettive si annientano. Le proporzioni si azzerano. Ogni cosa è rettangolo, quadrato, triangolo di colore. Un colore puro per ogni forma e grandi linee nere che dividono una sezione dall’altra. Le mie mani sono piatte e pesano come l’aria. Una persona entra nel mio campo visivo ma non distinguo nulla di lei; parla nella mia direzione ma dalla sua bocca vedo formarsi soltanto una chiave di violino che subito scoppia come bolla di sapone. Poff. Sono in un quadro di Kandisky o forse di Mirò. Il telefono squilla e mi riporta alla realtà: ho dormito 13 minuti con gli occhi aperti. Alla signora all’altro capo del filo racconto con umiltà la mia intera vita.

12° ora – 19.00

È tutto finito, è tutto finito. Me lo ripeto come un mantra per liberare la testa da tutti i pensieri della giornata, da tutte le chiacchiere che ho dovuto sopportare, da tutti i timbri vocali che ho dovuto ascoltare, da tutte le lamentele proferite con tono accusatorio, da tutti gli individui che non si assumono le loro responsabilità e vogliono rifarsi su un centralinista, da tutto il marcio che ho visto, dalle chiacchiere caustiche e dai giudizi spietati che ho sentito volare tra un reparto e l’altro. È tutto finito, è tutto finito. Con l’ufficio praticamente deserto passo l’intera ora a rimettermi in sesto, a riordinare le mie cose non tradendo mai la smania di fuggire con un gesto troppo avventato delle mani.

Epilogo

Ore 19.58. L’Anonimo è pronto per uscire: è l’ultimo ad uscire, anche questo fa parte dei suoi compiti. Non è poi così stanco (non sono poi così stanco, mi dico). Potrebbe anche fare qualcosa stasera (potrei anche fare qualcosa, mi dico). Non è stata poi una giornata così pessima (non è stata poi una giornata così pessima, mi dico.) Ore 19.58: il telefono squilla. L’Anonimo lo guarda con sospetto. Il telefono continua a squillare, un’armonica più in alto. L’Anonimo si guarda intorno con circospezione: l’ufficio è deserto. Il telefono ruggisce. L’Anonimo risponde con un: “Sì?” piccolissimo. Un signore comincia a parlare, dal tono sembra essere un pensionato: “no perché io volevo sapere pronto ma mi sente?””?”” È che io non capisco una cosa che voi fate scrivere un sacco di gente che non ci capisce poco o niente che voi siete bravi che non vi fate pagare ma che poi uno alla fine fa i conti ma tanto bravi non siete perché i soldi sono necessari e allora cioè lei capisce no io mi chiedevo ma per voler scrivere posso venire lì e fare un colloquio che a me queste cose dei “curricoli” non piacciono poi tanto……”.
L’Anonimo non dice nulla. Appoggia la cornetta sulla sedia e in silenzio, lentamente, se ne va. Resta solo un ufficio vuoto e un’incomprensibile sconnesso borbottio uscire dalla cornetta.

Sipario

venerdì 3 novembre 2006

12 ore per la vita - parte prima

Prologo

Otto meno qualcosa, L’Anonimo fa un sogno strano. Ehi, ma guarda che roba, c’è uno che sembra me che sta spegnendo la sveglia…e ora che fa…ah ecco ora si alza…si guarda intorno…fa freddo eh…via subito a lavarsi e a mettersi i panni pesanti per la giornata…sembra davvero rincoglionito…e ora?...eccolo in cucina, mangia veloce un cornetto mentre bolle l’acqua per il te…finisce di fare colazione…si sciacqua di nuovo il viso…adesso sta parlando da solo…ma che giornataccia oggi, dice…ma che giornataccia oggi, dico. Esco dal sogno o forse no, ma sicuramente esco di casa alle 8. Grazie ad un intricato sistema di sostituzioni e cambi di turno mi aspetta un turno di 11 ore alla reception dell’ufficio dove lavoro di sera; 11 ore a rispondere al telefono. Questa è la fredda cronaca degli eventi così come sono accaduti.

1° ora – 8:00

Scendo in strada imbavagliato dalla sciarpa, col cappello calato fino alla gola, due maglioni e tre magliette. Se non fossi sicuro di avere troppo caldo dopo metterei anche la calzamaglia. Fa un po’ freschino. Passo il tempo in fermata in contemplazione di quell’ uomo slavo che impettito aspetta il bus solo in maglietta a maniche lunghe e smanicato guardandomi di traverso con vivo disprezzo per la mole sconsiderata di abiti che ho indosso sicuro segno per lui della mia effeminatezza di uomo occidentale (più occidentale di lui intendo). Comincio a fantasticare sulla presenza di globuli rossi pelosi all’interno dello slavoide: avvolto in questi pensieri arriva il mio autobus. In totale stato catatonico cerco di racimolare gli ultimi momenti di riposo utile, incastrato in piedi tra un teen-ager sprizzante acne e una donna fatta a botticella. Arrivo trafelato e comincio a sbadigliare: sarà l’unica cosa che ricorderò di aver fatto per tutta la giornata.

2° ora – 9:00

Alla spicciolata cominciano ad arrivare i “colleghi”. Preso bene dall’atmosfera rilassata dovuta all’assenza del capo ufficio saluto con fervore e fare amichevole chiunque mi si presenti davanti dicendomi solo cia- , cinguetto giulivo un’aria lirica e mi offro disponibile per ogni pausa caffè da qui alla fine della giornata, cerco di cementare il collettivo, instauro un rapporto di cameratismo serrato con i “colleghi” maschi parlando di donne calcio e ancora donne. Rispondo alle prime telefonate della giornata con tono educato e voce guizzante, fornisco più informazioni del dovuto a chiunque chiami, rivelando anche alcune scorciatoie per evitare inutili code telefoniche. Mi dico che sarà un’ottima giornata.

3° ora – 10.00

Lo stomaco comincia a rigirarsi: sembra che dentro ci sia un serpente attorcigliato che scorreggia. Cerco di non pensarci, è solo la terza ora mi dico. Cominciano imperterrite le telefonate: a decine. Dedico ancora troppo tempo a ciascun interlocutore, praticamente parlo per un’ora intera ripetendo sempre la stessa frase: per favore chiami più tardi, in questo momento sono tutti in riunione…sì noi le riunioni le facciamo di mattina e di venerdì…si grazie buongiorno; oppure…no guardi non ci sono giornalisti oggi…richiami lunedì o al limite domenica sul tardi…si ecco il numero di fax…si grazie prego buongiorno a lei…ed infine…prego mi lasci pure tutti i suoi recapiti la farò richiamare il prima possibile. Spesso il prima possibile è lunedì. Della settimana successiva. Comincio a sentirmi disidratato e con la lingua pastosa; ogni tanto la testa ciondola pericolosamente in avanti mentre gli occhi si chiudono seguendo lo stesso identico meccanismo delle bambole.

4° ora – 11:00

Le telefonate continuano a decine ma ormai ho preso l’andatura: riesco anche a fare altro mentre parlo al telefono. Mi leggo un giornale intero e due articoli della mia rivista preferita controllo la mail due volte mando una mail a mia sorella per dirle di fare la spesa visto che a casa l’unico cibo rimasto siamo noi due controllo un paio di termini su wikipedia e un paio di parole sul De Mauro butto giù un disegno e abbozzo un progetto faraonico di fare la caricatura di ogni personaggio dell’ufficio. Ormai sono entrato in una prima fase di trans-agonistica in cui il sonno sembra debellato e ogni cosa riesce facile, anche due insieme. Il morale delle truppe è alto, sono ancora ben viste confidenze intime gossip sull’ufficio e pacche sulle spalle. All’improvviso però vengo colto da una leggera perplessità sul senso della vita in quel preciso momento. Le certezze cominciano ad incrinarsi. Vedo palline bianche ogni volta che pronuncio il nome dell’azienda.

5° ora – 12:00

Sbavo. Per la fame il serpente nello stomaco ha cominciato a mangiare se stesso, digerendosi e continuando a scorreggiare. Se tendo l’orecchio mi sembra di udire delle bestemmie pulite provenire dalle mie frattaglie. Ogni telefonata ricevuta è accompagnata da un’imprecazione, come fosse un attentato alla mia stessa integrità fisica. Le risposte si fanno laconiche. Faccio confusione e metto i termini cercati prima su wikipedia all’interno delle conversazioni telefoniche: si buongiorno…no non c’è nessuno con cui può parlare…Kurt Vonnegut…Divina Idiozia…si come dice?? Si certo…buongiorno grazie. Attesa spasmodica e conto alla rovescia dei minuti mancanti alla pausa pranzo prevista per le ore 13. I colleghi sono visti come possibili pietanze: li vedo aggirarsi come cacciagione in periodo venatorio, come fagiani saltellanti in cravatta Regimental. Sbavo quindi sono.

6° ora – 13.00

Pausa pranzo. Rigorosamente non retribuita. In un lampo di lucidità spengo il centralino, mi alzo, barcollo, raggiungo il bagno e libero qualsiasi essenza animale. Mi dirigo obnubilato dalla fame verso la pizzeria del sempre caro Egiziano. Considero l’ipotesi di lasciargli il mio curriculum con preghiera altissima di assunzione anche solo per il resto della giornata: con uno sguardo colmo di pena invoco un trattamento di favore o almeno un’intossicazione alimentare per mancare visita. Ma l’Egiziano come ogni pizzaiolo di generazione importata ha il suo codice deontologico alimentare: mi offre in cambio di sposare sua cugina e di trasferirmi seduta stante a Il Cairo. Declino l’offerta ma mi ritrovo con malinconia ad osservare le corriere che vanno in Romania. Sono le 14. Non ho fatto il biglietto. Ricomincio a lavorare. (...continua).

giovedì 2 novembre 2006

Io Oooodio l'inverno

Ondeggio come un cretino, intirizzito dal freddo, tutto involtolato nel mio cappotto di fustagno che mi ricorda come sempre che vuole essere usato con parsimonia, altrimenti mi tradirà nel momento dell'eleganza usurandosi sui gomiti a formare come una bruciatura; proprio come io mi immagino tanti cappotti segnati dal tempo e dai tavoli dove hanno incrociato conversazioni. Guardo il mio cappotto e vedo l'autunno; poi mi guardo intorno e capisco che l'autunno non esiste già più: è freddo da congelatore, freddo da ghiaccio secco sulla pelle. Nemmeno l'altro giorno sembrava estate, tutti a dire di non saper più come vestirsi, io a dire che era la fine del mondo. Se quella era la fine del mondo degli uomini, allora questa è la glaciazione che stermina anche la natura. Tutto questo per scrivere qualcosa certo, un po come fanno i telegiornali che parlano di maltempo in apertura, ma soprattutto per dire come mi accorgo del cambio di stagione. Io me ne accorgo mettendo le mani in tasca al cappotto e trovando qualcosa che lì dentro è rimasto per almeno 8 mesi. Le persone comuni trovano soldi, bigliettini o fazzoletti. Io trovo medicinali. Inverno ti odio. (non è che stimi di più l'estate, ma inverno odio te e i tuoi raffreddori (daddeddodi) )